sabato 24 novembre 2012

“Sopportavo meglio il mondo, tutto qui.”
Sopportavo il mondo.
Il mondo. Questo schifo di mondo.
Forse anche la pillola della felicità serve a questo.
A sopportare il mondo.
A svegliarsi la mattina e riuscire ad andare a scuola.
A non starmene completamente zitta, solo ad ascoltare i professori.
A non urlare contro mia madre per ogni cavolo di rumore. Per ogni cibo comprato, o cucinato.
A non arrabbiarmi con me stessa, al punto da prendermi a schiaffi da sola.
A non sentirmi inutile.. A non maledirmi per un pezzo di pane, per un biscotto in più.

“Come va?”
Bene. Meglio.
Certo, come no.
A volte sono un'abile bugiarda.
Qualcosa sono in grado di farlo, almeno.
Certo che va meglio.
Sopporto, fuori. Sorrido. Dialogo, quando posso.
Ma vorrei seppellirmi.
Vorrei morire, è questo il punto.
È una sopportazione, un sopravvivere, un tirare avanti.
È questo che dovrei dire quando lo psichiatra mi chiede “trovi dei benefici?”
Quali benefici dovrei trovare?
Dovrei essere contenta di medicine che spingono le mie labbra a mostrare i denti quando in realtà potrei affogare in un mare di lacrime?
Quali sono i benefici? Quali dovrebbero essere?
Cosa c'è di bello nel sopportare?
È una perenne insoddisfazione.
Non è cambiato nulla.
È solo un convincere gli altri che io stia meglio, che sia venuta fuori dalla depressione sfociata in un disturbo alimentare.
Ma è tutto una menzogna.
Resto insoddisfatta.
Infelice. Infelice dentro.
Insoddisfatta del mio corpo, delle mie capacità.
Dagli obiettivi che non raggiungo.
Dalle promesse non mantenute, a me.. Come agli altri.
Dei miei inutili sforzi.
Dalle continue parole convenzionali che mi vengono rivolte.
Dalla solita routine.
Della mia incapacità di trovare del tempo per me. Per leggere, per scattare foto, per guardare una stupida serie tv.
Studiostudiostudio.
Senza nemmeno ottenere dei risultati soddisfacenti. senza essere neanche unpo'meritevole.

Ero insoddisfatta. Ero infelice. E dovevo mostrarlo al mondo, alle persone che sempre pensato a me come una che in grado di cavarsela, sempre.
È così?
Mi sono isolata, quando ho capito di essere una ruota di scorta...
Hanno sempre provato pietà per me. Per quella ragazza silenziosa, sostituita dalla sua migliore amica per una nuova compagna ballerina, invece che appassionata di pallavolo; sostituita da sua cugina, con cui ha passato l'infanzia, perché sceglieva giochi troppo difficili, e non bambole.
Pietà.
Ecco cosa provavano le persone per me.
Ed io mi sono abituata a questo tipo di attenzioni.

Nella mia solitudine, nell'attesa di giorni migliori -perché non può piovere per sempre, mi ripetevo- sono maturata. Ho scoperto un mondo nuovo, , il mondo degli adulti. forse.
Ho capito troppo presto come va il mondo. Ho messo via le illusioni prima ancora che si impossessassero di me. Ho anestetizzano il cuore.
Ho messo un muro. Tra me e gli altri. Tra me e il mondo così com'è.
 Mi sono creata un mondo di ambizioni, di progetti. Troppo grandi. Non adatti ad una come me. Ad un singolo in una molteplicità.
Ero insoddisfatta anche del mio mondo.
Ho perso la speranza.
Ho vissuto all'ombra di libri, artisti sconosciuti, documentari, film....
Ho tappato la bocca. Mi sono fatta delle mie idee. Mi sono diversificata. Estraniata, sarebbe meglio dire.

Poi è passato.. È arrivato il momento del passaggio dalla pietà all'ammirazione.
Ma lo sanno tutti, l'ammirazione non può che sfociare nell'invidia.
“Ricevevi più complimenti prima o quando eri pelle ed ossa? Ed ora?”
Mai avuto un complimento. vero, sincero. neanche falso, forse.
A nulla sono servite la disponibilità, la pazienza.. Il provare a condividere.
Nessuno mi ha mai odiato, questo sì. Ma mai sono stata la migliore amica di qualcuno.
Ero una persona delle tante, una di quelle che si invitano per fare numero.
Sempre estranea, fuori posto.
D'impiccio.
Un gruppo di amici ed io.
Tagliata fuori dalla loro sfera personale. Dalla condivisione.
Una che ride alle battute, che non dice mai di no.. Che ti fa compagnia.
Non una che ti aiuta, da aiutare, da ascoltare. Nemmeno per un consiglio.
Fuori luogo.
Un peso.
Forse per questo ho scelto di mostrare il mio dolore, la mia anima in pezzi, la mia psiche distrutta, la mia autostima calpestata, dimagrendo.
Le ossa sono un dolore visibile.
Un modo per tornare ad impietosire gli altri. pietà. volevo pietà. come una volta.

Un richiamo disperato di attenzioni.
Qualcuno che si accorgesse di me.
Qualcuno che notasse la mia originalità, le mie idee.
Qualcuno che non pensasse a me come una disadattata, ma come un persona con un grande cuore.
Qualcuno che mi accettasse nella sua vita.. Che non fosse in grado di mettermi da parte senza problemi.
Qualcuno per cui non essere un peso. un carico da sopportare.

Io sopportavo il mondo.
Mi tappavo la bocca e non urlavo mai. "fai come vuoi, per me va bene, è uguale" questo ripetevo.
Mi sono vietata il cibo. Ho svuotato lo stomaco. Ho smesso di proteggermi con quel mantello di grasso.
Avevo la bocca libera, vuota. per urlare. per ascoltare l'eco profondo del mio dolore raggiungere lo stomaco.
Potevo urlare.
Urlare.
Mostrare il mio dolore.
pietà. sarebbe tornata.

ma ero cresciuta. ancora.
la pietà non mi piaceva, riconoscevo l'ipocrisia.
Mi ero sentita forte a sopportare la fame, la testa roteante, a uccidermi gli addominali.
Mi ero sentita forte. ero forte.
Non volevo sentirmi debole. loro non pensavano che fossi forte.
Non avevo mostrato nulla. non è servito a nulla.
E' sopraggiunta la paura. la paura. avevo paura del mondo. era diventato difficile anche sopportarlo.
troppo difficile. neanche la pietà rende le persone dolci. carine. ero comunque tagliata fuori, sola.
Sola con un fame insormontabile.
a lottare contro tutti.
Dai miei al nutrizionista, da mia sorella a vari strizzacervelli.
Non ero in grado per loro. NON ERO. non ero capace.
Allora ok, mangio.
torno a proteggermi da questo mondo sempre pronto a ferirti.
mi serve grasso, più cibo. non bastano 400 kcal.
mi servono biscotti, cioccolata. tutti mangiano queste cose. io devo essere come loro.
Come loro.
l'essere diversa mi ha portato all'insoddisfazione, all'infelicità.
Ero troppo intelligente, troppo curiosa, troppo magra.
ero sempre troppo. eppure mi sentivo sempre meno.

sono ritornati i vecchi kg, eppure il dolore è stato ancora più lacerante.
Ho combattuto contro me stessa, contro i vecchi jeans che mi stavano stretti, con le gambe grosse.
Ho combattuto contro ogni commento, contro ogni giudizio.
"Sei ingrassata, stai meglio, ti vedo in forma"
Ho combattuto contro ogni cazzo di cosa nel mondo.
e nessuno se ne è mai accorto.
gli altri stavano male, io no. io non facevo abbastanza, io non ero abbastanza.
Non lo sono mai stata. mai un complimento.

E non lo sarò mai.
questo dolore ha segnato la mia anima.
lacerata.
il dolore è così forte che non mi resta che dormire, e sperare di non svegliarmi. ogni giorno.
anche con la pillola della felicità. le lacrime cadono, ogni sera.. non appena si affievolisce il suo effetto.
La notte è un inferno. un inferno di attesa.
è una lotta per la vita.
contro questo dolore che mi uccide, ogni giorno, che mi porta via la speranza, la possibilità di costruirmi un futuro. il futuro che voglio.