lunedì 21 gennaio 2013

Pensavo di avercela quasi fatta, di essere a buon punto sulla strada della guarigione, ma poi ha iniziato a piovere, a dirotto. I tuoni sembravano bombe e i lampi flash di reporter in guerra, di quelli che fotografano e poi boom, dietro le trincee.
Pioveva, ed ho guardato incantata le gocce giocare sui vetri, come quando da piccola ne sceglievo una e fino alla fine speravo fosse la più veloce di tutte, la vincitrice, la più forte, quella che non molla -che resta lì vicino al vetro anche se tutto quel rumore e quell'acqua la spaventano da morire - la più leggera, in fondo. La più leggera. Per scivolare via. Sgattaiolare tra i vicoli stretti e bui delle città antiche, come topi che scappano da un gatto affamato. Come una persona così fragile da voler fuggire via, da ogni situazione.
Il punto è che quando vuoi vincere - e sai che c'è qualcuno che lo fa al posto tuo - non ti resta che l'amarezza del secondo posto, anche se lotti con tutta la forza che hai. Il punto è che quando vuoi vincere a tutti i costi e perdi è come se il gatto ti avesse preso, arrostito e condito, non solo divorato. È come se si fosse divertito a farti a pezzetti. A tagliuzzarti, ad infiammarti l'anima, a far bruciare le ferite.
Il punto è quando vuoi vincere a tutti i costi e non ci riesci, sei in trappola. E la tua gabbia sono i tuoi obiettivi. E possono cambiare - mille volte - ma non puoi sempre vincere. È la legge immutabile della vita. Ad ogni fase di prosperità segue un interciclo recessivo. Non puoi vincere.

Puoi allagare la distanza tra le sbarre, perdere per un solo punto - anche mezzo - ma sarai sempre lì. Davanti a quel vetro. Con paure che ti porti dietro dall'infanzia, l'amarezza per le sconfitte, e l'odio verso te stessa.