lunedì 15 febbraio 2016

Quattro anni fa circa scrivevo la prima volta un post su questo blog.
Quasi tre anni fa ho smesso di scriverci.
Il mio ultimo post risale alla maturità, alla felicità che ho provato quando ho realizzato di essere libera, di non dover più vedere nessuno, parlare con quelle persone, vederle ogni mattina. Scrissi, così, un accenno ai risultati degli scritti, alla paura della delusione, alla felicità che mi avrebbero nuovamente negato.
una felicità che nel tempo mi avevano sottratto, che mi avrebbero sottratto anche all'epoca probabilmente ma che io mi sono vietata. ho preferito mollare, ho mollato letteralmente. per non ricevere un'altra delusione. per godermi il momento, quella felicità, quella libertà, quei sonni tranquilli che ormai non facevo da tempo divorata dai loro giudizi, dalle loro pressioni, dalle loro aspettative, dai miei metri di giudizio, dalle mille incomprensioni mai risolte.
E' passato tanto tempo, tante ore di analisi.
Molte persone sono entrate nella mia vita, soprattutto per uscirne.
Ho fatto tante esperienze, incontrato tanta gente. ho visto di peggio, vissuto di peggio. mi sono anche mancati. ho dovuto ammettere tante cose, soprattutto ( forse solo ) a me stessa. non troverò più persone come loro. forse solo peggio. mi sono sentita amata e molto sola. sola con quello che è il mio modo di essere, che loro conoscevano, che loro accettavano, che loro condividano. forse per questo non potevamo essere amici. mi sono sentita sola con le mie passioni, con i miei hobby, che in fondo erano anche i loro. i nostri argomenti. è stato così terrificante che per un po' ho dimenticato chi fossi. come era la vera me. chi ero prima.
Ma non ho avuto il coraggio, il coraggio di scrivere quello che mi succedeva. sarebbe stato troppo doloroso, non avrei voluto rileggere di quei momenti.
Ma oggi, oggi sento che devo farlo.
Sto male, mi fa male il cuore, anche in senso fisico. mi fa male per davvero.
All'epoca, quattro, cinque anni fa questo senso di malessere l'avrei curato con un digiuno, con qualche colpo allo stomaco per sentire meno male. Qualche tempo dopo avrei mangiato un pacco di biscotti. Qualche tempo dopo ancora mi sarei nascosta sotto le coperte pensando che tutte quelle medicine non sarebbero mai servite a nulla, che sarebbe stato meglio morire.
Poi ho imparato a piangere, a rispettarmi, a metabolizzare il dolore, le delusioni, gli abbandoni, la solitudine, le incomprensioni. ho aperto il mio cuore, ho lasciato che pensassi con quello. ho lasciato che la sofferenza diventasse un baratro in cui mi sono poi buttata, senza avere la forza di uscire. ho abbandonato la mia razionalità. ho abbandonato il mio essere. perché me l'hanno contestato, perché mi hanno detto che non potevo controllare tutto, che non potevo ignorare ciò che il mio corpo chiedeva, quello di cui la mia mente aveva bisogno. me l'hanno detto, e io ci ho creduto. Ho davvero creduto a quello che ho scritto nel febbraio 2012, che io non fossi un numero e che non dovevo giudicarmi così.
E forse nei momenti di lucidità posso ancora pensarlo e spesso il mondo fuori me lo conferma.
Ma no, non voglio più sentirmi come mi sono sentita negli ultimi tempi.
Come mi sono sentita quel giorno di inizio marzo, una misera nullità.
C. avrebbe interrogato sul Purgatorio, e io odio la Divina Commedia. Dovevo andare al centro, ed incontrare lo psichiatra, quando tornai non avevo voglia di ripetere gli ultimi due canti. Mi chiese l'ultimo. Non andò molto bene, non come avrei voluto, andò meglio a S. e questo mi fece sentire davvero una stupida. Dopo qualche giorno stavo già studiando Goldoni. alla successiva interrogazione presi 9, più di tutti, all'interrogazione a cui tutti erano andati peggio del solito. IO VINSI. Odiavo la parafrasi, eppure non battei ciglio alla domanda sui sepolcri.
Stamattina, come spesso negli ultimi tempi, ho perso.
Ho perso perché per vincere la malattia ho perso anche me stessa. Perché l'anoressia e la depressione si sono portate via pezzi di me.
Ho perso perché ho smesso di lottare.
Ho perso anche ora, proprio ora che avevo ricominciare ad affilare le unghie.
Per questo devo scrivere. Per questo devo mangiare, non devo farmi tentare. Lo devo a chi il giorno di quell'interrogazione mi disse "lascia stare, la prossima volta potrai dare il meglio di te". Glielo devo, perché in fondo ha sofferto con me, perché forse davvero è l'unica persona che ha sempre creduto in me, anche quando ho smesso di farlo io.
Io non sono un numero, e questo lo so.
Ma non sono peggio di chi dopo tanto tempo ancora non distingue una chinasi da una fosfodiesterasi.
Io lo faccio con passione, e se non basta, farò di meglio. e se ancora non basta, non farò altro.
Se vorrà dire che dovrò di nuovo ignorare i miei bisogni, i miei sentimenti, tutto, io lo farò.
perché nulla mi ha mai fatto stare male così, nulla. niente può annullarmi, se non smettere di essere quello che sono, ignorare come sono nata e quello di cui ho bisogno per essere felice. non ho mai avuto molto, in fondo. e sentirmi gratificata per i risultati del compito di matematica, era tra le cose che più desiderassi, che più mi rendevano felice.
e tutti questi anni di analisi, questi soldi spesi, queste lacrime versate, avevano un solo scopo, la mia felicità. e sti cazzi se il mondo dice che non si può basare la felicità su queste variabili, se non si vuole finire in un baratro... perché io ci sono finita lo stesso. e ora devo risalire, e per risalire senza cadere in tentazioni strane dovevo scrivere.

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